lunedì 4 ottobre 2010

Inceneritori di futuro.

Pubblico questo articolo tratto da Fabio news che a sua volta l'ha ripreso dal Manifesto del 30 settembre 2010. Ringrazio Massimo per la segnalazione.
Qualcuno potrebbe dire: già, ma intanto l'immondizia dove ce la mettiamo? In tasca?
Io credo che l'approccio sia proprio culturalmente sbagliato. Dall'alto si investe sulla filiera produzione - consumo - rifiuto - incenerimento. Un percorso lineare verso l'irresponsabilità.
Una politica accorta e attenta al futuro dovrebbe invece prevedere (a mio modestissimo avviso): produzione - consumo - recupero - riutilizzo - produzione... una filiera circolare.
Ma finchè la politica la fanno le multinazionali...


Rifiuti e differenziata, i perché del disastro
di Guido Viale
«Se teniamo al 40 per cento la soglia da raggiungere per la differenziata, la termovalorizzazione non la faremo mai... Quindi se è vostra intenzione, maggioranza e opposizione, dovete abbassare la quota della differenziata».

Così, secondo Repubblica del 23 settembre, l'intercettazione di una telefonata tra il ras dei rifiuti dell'Abruzzo Rodolfo Di Zio e l'Assessore regionale all'ambiente, entrambi arrestati ed entrambi in combutta tanto con maggioranza che con l'opposizione della Regione, nonché con la società lombarda Ecodeco - ma anche con il comitato anti-discariche - per costruire nella regione uno o due inceneritori e garantirsi un quantitativo di rifiuti da bruciare sufficiente ad alimentarli.

Da notare che il 40 per cento di raccolta differenziata è una prescrizione di legge valida su tutto il territorio nazionale da raggiungere entro l'anno in corso, mentre al 2012 questa percentuale dovrà salire al 65 per cento; anche se per chiedere l'abbassamento della soglia si è già mosso persino l'Anci, l'associazione dei Comuni italiani: anch'esso preoccupato, evidentemente, che gli inceneritori attivi o in programma nei rispettivi territori di riferimento restino "all'asciutto".

Quello che il signor Di Zio pretendeva era una modifica della legge regionale che abbassasse la raccolta differenziata rispetto agli standard regionali, senza preoccuparsi della normativa nazionale, consapevole del fatto che con il "federalismo" le regioni, delle leggi nazionali, se ne fottono.

Non ci potrebbe essere smentita più chiara e sincera - perché proferita dalla viva voce di un affarista del settore - della tesi tante volte sostenuta su giornali, in Tv, in convegni "scientifici" e in mille e mille Consigli comunali, provinciali e regionali, secondo cui raccolta differenziata e incenerimento (ribattezzato "termovalorizzazione" per indorare la pillola) non sarebbero incompatibili ma complementari; né conferma più pregnante della tesi degli ambientalisti più seri - quindi, non di quelli, come Realacci, trasformatisi in sponsor dell'incenerimento - che hanno sempre sostenuto che o si fa l'una o si fa l'altro.

Ed eccoci di fronte alla spiegazione del disastro della Campania, dove da sedici anni la raccolta differenziata è al palo (con l'eccezione di alcuni comuni "virtuosi", uno dei quali è stato anche commissariato dal ministro dell'Interno Maroni perché il suo sindaco faceva "troppa" raccolta differenziata) in attesa degli inceneritori previsti dal "piano" regionale: prima quattordici, poi tre, poi uno, poi quattro, poi cinque, poi non si sa più:
quello che c'è, inaugurato in pompa magna dal duo Berlusconi e Bertolaso un anno e mezzo fa, con tanto di pernacchio agli ambientalisti, non funziona e non funzionerà mai; ma è bastato a tener ferma la raccolta differenziata e ad accumulare dieci milioni di tonnellate di ecoballe nelle campagne più fertili della penisola, perché doveva fare ricca, con gli incentivi all'incenerimento, prima l'Impregilo (la società più amata da Berlusconi, dopo Mediaset), poi l'A2A, la multiservizi dei sindaci berlusconiani di Milano e di Brescia.
Ed ecco spiegato anche il disastro dei rifiuti siciliani, in attesa anch'essi da una decina di anni di quattro inceneritori (poi cancellati; per diventare subito dopo nove; uno per Provincia; per di più in una Regione che le Province si è impegnata ad abolirle).

O eccoci di fronte alla spiegazione del perché in Emilia, regione una volta nota per la sua buona amministrazione, ma da tempo controllata dal colosso Hera e dai suoi inceneritori, la raccolta dei rifiuti porta a porta si fa con il contagocce e i cassonetti stradali - molto sporchi - dominano il paesaggio urbano.

O, ancora, ecco spiegato il mistero di Argelato: l'unico comune italiano che ha respinto con un referendum promosso dalle destre la raccolta dei rifiuti porta a porta, costringendo alle dimissioni il sindaco del Pd che l'aveva fortemente voluta; e questo nonostante che il Pd vi abbia ancora qualcosa come il 70 per cento dei voti.

Perché Hera, nel momento di assumere la gestione dei rifiuti ad Argelato, aveva mobilitato i quadri del Pd... per mettere sotto scacco loro il sindaco.

Il fatto è che la raccolta dei rifiuti, se è differenziata e soprattutto se è "spinta" con il porta a porta, è un servizio di vicinato: richiede un rapporto diretto, un colloquio permanente, un'interazione bidirezionale tra gli utenti e l'azienda (e con gli operatori dell'azienda): per promuovere l'adeguamento continuo del servizio, la qualificazione del personale (si tratta, in fin dei conti, di un servizio front-line) e la collaborazione della cittadinanza. Più la direzione e gli interessi dell'azienda si allontanano dal territorio, più evanescente - e
inefficace - diventa questo rapporto.

Hera, che è ormai una multinazionale - ha intrecciato interessi e azionariato persino con una società inglese - è un buon esempio di questo processo. I suoi interessi centrali sono la finanza, la borsa, i grandi impianti (soprattutto gli inceneritori) mentre il servizio di raccolta è sempre più delegato in subappalto a cooperative dove si risparmia sui salari, non c'è formazione, il turnover è altissimo e il coinvolgimento del personale nullo. In queste condizioni la raccolta porta a porta è solo un onere e non promette niente di buono.

Quello che vale per i rifiuti urbani vale per tutti i servizi pubblici locali: gestione delle acque, trasporto e mobilità, distribuzione di gas ed energia elettrica (più si risparmia o si installano fonti rinnovabili, meno l'azienda guadagna); ma poi anche cultura, assistenza sociale, ecc.

Taglieggiando l'utenza, queste grandi aziende sono anche in grado di destinare ai comuni che ne sono azionisti una quota dei loro profitti. «Io sono contento perché Hera destina un milione all'anno di dividendi al mio Comune» mi ha detto una volta un militante del Pd. Sì, ma da dove li ha presi?
In questo modo è l'azienda che controlla il comune e non viceversa. L'inceneritore di Brescia (ex ASM; oggi di A2A), la gallina dalle uova d'oro della rifiutologia italiana, è un esempio da manuale. Se il comune di Capannori (in provincia di Lucca) è riuscito a diventare un campione italiano di raccolta differenziata (e il primo a puntare sull'obiettivo rifiuti zero) è perché ha mantenuto - insieme ad altri quattro comuni di media dimensione - il controllo di un'azienda di igiene urbana con il cento per cento di azionariato pubblico: cosa che la legislazione italiana ormai mette al bando, imponendo, sotto le false apparenze della "liberalizzazione", la privatizzazione dei servizi pubblici locali.

Se ad Argelato vince invece il ritorno alla raccolta dei rifiuti con i cassonetti stradali, è perché la multiservizi Hera ha ormai assunto il comando sulle vicende politiche a amministrative del territorio.

1 commento:

  1. Condivido pienamente tutto, ho fatto diversi volantinaggi contro l'inceneritore (l'ultimo il 7 ottobre mi pare)sono informato sul tema, vedo però nella gente un totale disinteresse verso il tema.Al Gerbido ad esempio c'è un totale menefreghismo non presenziando mai a nessun tipo di manifestazione(io c'ero e lo posso dimostrare).Quindi ben ci sta.Con malincuore soprattutto per i nostri figli, anche se io continuerò a combattere anche da solo.
    Massimo Casa

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